Il primo tra i biografi di San Francesco, Tommaso da Celano (1200-1270), nel suo TRACTATUS DE MIRACULIS del 1252-1253, narra dei tre miracoli avvenuti in Basilicata per intercessione del Santo d’Assisi, a pochi decenni dalla sua morte avvenuta il 3 ottobre del 1226. Si narra che una mamma di Pomarico (all’epoca piccolo centro della regione amministrativa dell’Apulia), riebbe viva l’unica figlia, morta in tenera età, grazie all’intercessione di San Francesco. <<… San Francesco, accompagnato da un solo confratello, visita la madre addolorata e la consola con affabilità, dicendolo: non piangere, giacché alla tua lucerna, ormai del tutto spenta, ecco io restituirla luce! Si rialzò subito la donna e rivelando a tutti ciò che le aveva detto San Francesco, impedì che il corpo dell’estinta venisse trasportato altrove. >> Da una lettura attenta del testo del Celano è possibile riscontrare che il miracolo non è avvenuto per intervento diretto del poverello d’Assisi, quanto per intercessione. La diffusione della riforma cappuccina in terra lucana affonda le sue radici nella già ampia devozione al serafico padre San Francesco, connessa alla presenza dei frati della prima generazione: Benvenuto da Gubbio, Sigismondo, Angelo Clareno. Un’ antica tradizione materana, inoltre, riferisce la storia di una sosta di San Francesco a Matera. Qui avrebbe trovato asilo nell’antico cenobio ipogeo dedicato ai santi Pietro e Paolo- allora fuori dalle mura cittadine-, dove oggi sorge la Chiesa settecentesca intitolata appunto a San Francesco. Egli faceva ritorno dalla Terra Santa, dove si era recato tra i saraceni durante la quinta crociata (svoltasi tra il 1217 e il 1222) con le armi della pace: la croce ed il Vangelo.
Il dato non trova riscontro verificabile, ma è possibile garantire senza tema di smentita che il culto a lui riservato in Basilicata era già diffuso tra il 1250 ed il 1253.Visitando poi la Chiesa di San Francesco in Pietrapertosa, è possibile ammirare gli affreschi realizzati nella prima metà del cinquecento da Giovanni Luce da Eboli. Giovanni, a distanza di alcune centinaia di anni da questo evento, lo identificò nella sua raffigurazione pittorica con la didascalia tuttora leggibile “Quando sancto Francisco resuscitao una figliola ad Pomarico”.
Oggi nella terra di Pomarico è visitabile la Casa del Miracolo, situata nel centro storico. Rimasta integra per secoli, la casa ha una struttura architettonica costruita in pietra con all’ interno due focolari ed un arco nel quale è stata posta, oggi, una piccola statua del Serafico. Nelle mura fu incastonato lo stemma francescano, ancora ben visibile, scolpito in bassorilievo su un cubo di pietra, posto con devozione dai frati stessi. Lo stemma, risalente alla fine del XV secolo, è da attribuirsi a San Bonaventura da Bagnaregio, eminente teologo dell’ordine francescano, ordinato dallo stesso per non vedere più il suo stemma gentilizio tra quelli dei cardinali. Egli fece dipingere uno scudo azzurro con la mano di Nostro Signore e con la mano di San Francesco l’una sull’altra ed unite da un unico chiodo per significare il patto di eterna fedeltà dell’ordine al Signore crocifisso. In seguito, purtroppo, si smarrì il suo significato originale: fu tolto l’unico chiodo che univa le due mani e, distanziatele leggermente, il braccio di San Francesco venne contrassegnato con la manica del saio. La rappresentazione diffusasi poi nei secoli XVII e XIX vede raffigurate sempre le braccia del Cristo e di San Francesco mostrando i palmi in cui sono ben visibili le stigmate; dietro di esse è raffigurata la croce, a cui le due mani sono quasi addossate. La presenza della croce si spiega in quanto gli autori che rappresentavano questo simbolo erano ben coscienti di dover conservare la necessaria distinzione tra il sacrificio reale del Figlio di Dio sul Calvario e l’esperienza del Serafico nel ricevere le stimmate.